Portare in scena uno spettacolo incentrato sul Teatro Canzone di Gaber/Luporini non è un’impresa facile e comporta una serie di inevitabili rischi. C’è innanzitutto un duplice aspetto da considerare: prima di tutto il rischio di cadere in una scimmiottatura che, ovviamente, non può competere con l’originale e, all’estremo opposto, nel tentativo di evitare il primo errore, il rischio di stravolgere completamente canzoni e monologhi, non riuscendo così a restituire la dimensione concettuale, musicale ed espressiva che essi contengono.
Esiste quindi, a mio parere, una zona franca tra questi due estremi, dove con sapiente equilibrio bisogna sapersi muovere. Questo anche perché riproporre Gaber è molto diverso dal riproporre, ad esempio, canzoni di qualsivoglia cantautore. Non si può prescindere dalla fisicità, dall’espressività, dal carisma scenico di Gaber che sono essi stessi “testo e musica”, che sono essi stessi elementi costitutivi del “linguaggio” del Teatro Canzone.
Credo che “Una razza in estinzione”, spettacolo con la regia di Alessandro Serasini, sia riuscito a muoversi in maniera sufficientemente abile all’interno della suddetta zona franca.
Il gruppo musicale (chitarre, basso, batteria, tastiere, flauto traverso) è integrato da voci recitanti maschili e femminili. Gli arrangiamenti musicali, in particolare quelli chitarristici, sono originali e contribuiscono a dare un’impronta personale alla sonorità generale, pur non tradendo mai del tutto l’ordito originale delle canzoni. Anche i monologhi talvolta sono strutturati diversamente dall’originale ma mantengono bene il senso generale.
Anche quando la recitazione è affidata alle due ragazze (altro aspetto rischioso, in quanto i monologhi del TC sono in genere molto “maschili”) l’effetto è congruente al testo. Inoltre la molteplicità degli artisti presenti sul palco aiuta a rendere più dinamico lo scorrere dello spettacolo.
I brani sono stati scelti con il dichiarato intento di rappresentare la visione di Gaber che gli artisti hanno maturato nel confronto delle loro idee, cercando di andare oltre la maggioranza degli ingessati tributi televisivi e cercando di lasciare in evidenza il carattere principale del Teatro Canzone: quello di instillare il dubbio, di costringere a riflettere sull’uomo e il suo rapporto con la società.
E’ un tipo di spettacolo che vedrei bene come base di un discorso divulgativo, di un “concerto-lezione” su Gaber, magari integrato da interventi sull’artista, forse anche da spezzoni di filmati, da materiale, insomma, che ne evidenzi il profondo significato.
In conclusione credo che questo spettacolo rappresenti un tentativo riuscito e positivo per stimolare, soprattutto i giovani, ad un approccio più approfondito a Gaber.
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