Studente di Giurisprudenza all’Università di Firenze, è appassionato di poesia (conoscitore dell’opera di Pasolini) e dello studio della criminalità organizzata.
Nel 2006 ha realizzato,insieme a Gian Luigi Ago e Claudia Bellucci, la Lezione-spettacolo sul Teatro Canzone di G. Gaber e S. Luporini, progetto didattico presentato, tra l’altro, a Cosenza, Firenze e Milano. Nel 2007 ha realizzato un’intervista al poeta Gianni D’Elia (”Pasolini: morte italiana”).
Appassionato di arte, realizza lavori che coniugano un tratto pittorico preciso e dal sapore metafisico a temi concettuali legati alla realtà sociale e psicologica («Le capacità di concettualizzare i suoi disegni pur all’interno di una visione metafisica e di farli parlare del sociale», Gian Luigi Ago).
A novembre del 2007 realizza “Finestra sulla realtà”, recensito dal poeta Gianni D’Elia.
Un suo dipinto, Un uomo e una donna, viene utilizzato per la copertina dell’e-book “Diario” di G. Laguardia. E’ socio-attivista di Amnesty International.
http://notte-privata.blogspot.com
MORTE ITALIANA
“Ma ho spiegato loro che
L’architettura non è giustizia”
(da Umiliato in catene di Sami Al Haj,
Poesie da Guantànamo, acd Marc Falkoff)
Un omaggio a uno dei poeti che più amo: Pier Paolo Pasolini. Morte italiana perché la morte di Pasolini in Italia ha portato alla morte della Giustizia innanzitutto, della politica e delle istituzioni in generale, dei mass media, degli italiani e quindi della cultura. E’ uno dei molti esempi di casi irrisolti in Italia, di misteri che a più di uno fa comodo che rimangano tali. Il mistero di questo delitto, infatti, è tutto racchiuso all’interno di “Petrolio” e delle parti mancanti del romanzo: “Pasolini stava addosso alla verità sulle stragi, al legame tra la politica e la guerra del petrolio italiano” (G. D’Elia).
E’ l’altra faccia della medaglia-Giustizia, di quella parte della Giustizia che si rende complice di crimini e assassini.
Vuole essere quindi un omaggio anche a tutti coloro che sono vittime di questa “Giustizia-malata”.
Bisogna esporsi (questo insegna
Il povero Cristo inchiodato?),
la chiarezza del cuore è degna
di ogni scherno, di ogni peccato
di ogni più nuda passione…
(La crocifissione, da L’usignolo della chiesa cattolica, P.P. Pasolini)
FINESTRA SULLA REALTA’
E’ abbastanza esplicito. Il titolo lo ha scelto Daniela. Si ricollega ad alcune poesie di D’Elia sul problema dell’ambiente e alla scoperta di una canzone bellissima di Bertoli, “Eppure soffia”.
Non manca la filosofia: il filosofo Hans Jonas, si fa banditore di un “minimalismo programmatico” che individua nella sopravvivenza dell’uomo, anziché nella perfezione, il suo obiettivo primario. Per questi non ha senso parlare di oltreuomo, esteta, o altro ancora, bisogna pensare alla sopravvivenza dell’uomo attraverso la cura e la salvaguardia della natura.
C’è un vaso con tre “fiori particolari”: un bicchiere di plastica accartocciato (inquinamento quotidiano umano), una lattina (conseguenze delle grandi industrie e multinazionali a livello ambientale) e la “M” di McDonald (e questo mi sembra giusto commentarlo con le parole di Gianni D’Elia:
“ci stanno avvelenando, lentamente,
da decenni, per la fretta d’incassare,
produrre, distribuire, vendere, smerciare
ogni creatura vegetale e animale; bestie,
han fatto diventare cannibali gli erbivori,
dando loro da mangiare loro stessi;
le chiamano farine, ma son ceneri queste,
degli animali morti e sminuzzati,
che per mangiarsi si sono ammalati,
impazzendo di prioni nei
cervelli”
RECENSIONE DI GIANNI D’ELIA:
Finestra sulla realtà ricorda i “fiumi di carbone” del famoso Paesaggio di Baudelaire nei Quadri di Parigi, dei Fiori del male:
[…] E’ così dolce dalle nebbie veder poi come nasce nell’azzurro la stella, la lampada alla finestra, quei fiumi di carbone che salgono su in alto e il pallido incantesimo che la luna ci versa. […]
Un tramonto industriale e urbano, uno dei primi in poesia.
Ma ecco il tuo fiore mutante sul davanzale, che fiorisce l’artificiale sullo stelo, nel vaso con i simboli del detrito contemporaneo (carta, lattina, sigla dell’impero gastronomico omologato), contro i fumi di due ciminiere.
Mi attira la tua persiana scostata, un pò vangogghiana, nel suo verde-feritoia che lascia affiorare gli strati del mondo a salire: il grigio degli alveari umani, il marrone dei monti, il verde giallastro del cielo malato.
Le ombre dei vasi, col più piccolo che pare lo stecco d’alluminio di una antenna, dicono del tramonto della vita naturale.
Gianni D’Elia
LE SOLITUDINI
Si chiama Le solitudini perchè vengono raffigurate tre diversi tipi di solitudine, partendo dalla più personale, per poi continuare in senso antiorario, a quella diciamo più universale.
Come struttura è molto simile alle piazze italiane di De Chirico.
Dentro c’è un pò di tutto: Giorgio Gaber, Rino Gaetano, Pink Floyd, Gianni D’Elia e la Scuola di Francoforte.
– Si parte dalla solitudine PERSONALE rappresentata dal cane. Ho pensato soprattutto a Rino Gaetano (Mio fratello è figlio unico ed Escluso il cane) e Gaber (I soli).
– Poi c’è la solitudine INTERPERSONALE, quella dei rapporti tra le persone. L’immagine sembra la copertina di Wish you were here dei Pink Floyd. Mi era venuta in mente una frase di Marcuse, tratta da L’uomo a una dimensione, che parlava di “rapporti anonimi e impersonali”. Basta andare più a fondo per capire la mancanza di veridicità dei rapporti…è come una stretta di mano che non permette di vedere il fuoco che c’è dietro le spalle. Anche qui c’è un riferimento al nostro GG (”e poi vivere in due e capire che siamo tutti soli”).
– Infine una solitudine IDEOLOGICA, POLITICA. In una delle sue poesie, D’Elia parla più o meno “di ideali che questo tempo ha reso nani”. Le bandiere rosse e nere rappresentano proprio la mancanza di ideologia: per quanto potessero avere aspetti negativi le ideologie simboleggiate da quelle bandiere, da quel colore… però c’erano, uno poteva “attaccarsi” a qualcosa. E’ quella mancanza di valori che è uno dei temi più frequenti nell’opera di D’Elia. Poi c’è la bandiera della Repubblica e quella si commenta da sola! Come non pensare ad Anni Affollati di Gaber (”Anni affollati di gente che ha pensato a tutto senza mai pensare a un Dio”).
UN UOMO E UNA DONNA
Questo dipinto è tutto gaberiano. Mi venne in mente leggendo Questi assurdi spostamenti del cuore. Due furono le parti che mi piacquero molto: «E capire che le cose fondamentali sono poche, semplici. E imparare a vivere veramente cominciando da noi due:un uomo e una donna»; «All’universo non gliene importa niente dei popoli e delle nazioni. L’universo sa soltanto che senza due corpi e due pensieri differenti non c’è futuro» (da Il Dio bambino). Questo pensiero venne espresso poi in molte canzoni. Il senso, il significato dell’amore in Gaber e Luporini è stupendo è qualcosa che sfugge sia dal punto di vista formale alla rima cuore/amore, sia alla riduzione di tale sentimento alla banalità. E’ un lungo percorso (più di 30 anni) che parte da un’analisi realista (quale è sempre stata quella di Gaber e Luporini) dell’amore o meglio della crisi che coinvolge l’individuo e che inevitabilmente si rispecchia anche sulla coppia, sulla famiglia…sull’amore, che diventa abitudine, routine; per arrivare ad una bellissima canzone, Quando sarò capace di amare, all’interno della quale si parla di un amore «maturo, un amore come evento naturale, senza stranezze e svilimenti né sul piano fisico né su quello spirituale» (Andrea Pedrinelli), un amore come gesto naturale (“non come quando si ragiona ma come quando si respira”).
Però c’è qualcosa di più: considerato così l’Amore (“no, non dico l’amore che possiamo anche fare, ma l’Amore”, L’impotenza, G.G.)penso che non sia una contraddizione parlare anche di omosessualità e di PACS. Se amore è, è amore sia quello etero che quello omosessuale….un po’ come l’Etica: se una vera etica esiste, un’unica etica, questa non sarà né cattolica né laica, ma sarà più semplicemente Etica. E’ un periodo in cui in Italia si discute molto di “unioni civili”, PACS, ecc ecc. Però ci si ferma lì, alla discussione e a volte non si arriva neanche a quella. I signori parlamentari, e mi riferisco soprattutto a quelli divorziati, a quelli che hanno avuto due o tre mogli o peggio ancora qualche “scappatella parlamentare”, dovrebbero smetterla di tirare sempre in ballo la famiglia e cercare di guardare la questione da un’altra angolazione: dall’amore.
PACE
Si sa che sono un pacifista sfegatato. Qualche anno fa andai alla presentazione di un libro del politologo Giovanni Sartori:”Mala tempora”. Criticò i pacifisti o come li definiva lui i “cecopacisti” o “pacifisti alla Gino Strada”. Intervenni…Quale migliore occasione per difendere la mia posizione? Iniziai a parlare di Kant, il quale nella “Pace perpetua” sosteneva che o si è pacifisti o non si è pacifisti; la pace è cosa diversa dal non interventismo o dal patto di non belligeranza, cercai di dimostrare con Kant che non esisteva una “pace alla Gino Strada”, una “pace senza se e senza ma”, ma esisteva una Pace e dei pacifisti. Penso che finché l’uomo penserà alla guerra come strumento, soluzione possibile, anche se solo come “ultima ratio”, staremo ancora a parlare di guerra e pace.
ARCO DELLA VITA
Doveva essere solo una bozza in carboncino per poi diventare una tela con colori ad olio, poi però mi è piaciuto così come era e quindi…niente colori.
Penso che il senso del disegno possa riassumersi con alcuni versi di una di una canzone di Gaber e Luporini, Verso il terzo millennio: “che cosa c’è di vero/ nell’arco di una vita/ tra la culla e il cimitero“.
C’è un pò di Pascal anche: mi è sempre rimasto impresso un suo pensiero, che poi era la sua concezione dell’uomo: “l’uomo è una canna al vento, una canna pensante”.
Nel suo complesso il disegno può sembrare molto pessimistico, e lo è!, ma può essere visto anche da un’altra angolazione: è vero che la vita è questo piccolo “arco”, questo “filo” che congiunge il momento iniziale con quello finale, ma Gaber stesso ci dice: “ma io ti voglio dire/ che non è mai finita/ e tutto quel che accade/ fa parte della vita”.
Se consideriamo la vita come un “filo” per stendere il bucato, ecco allora che il bucato, ogni singolo calzino, pantalone, ecc, che può essere appeso, rappresenta un evento della vita.
Siamo noi quindi (e qui ritorna la ragione, il pensare della “canna-uomo”!) a fare la differenza, a decidere cosa mettere e cosa non mettere.
BASSA STAGIONE
Disegnato su un cartoncino con una matita in pochissimi minuti…un disegno “d’impeto”, dopo la visione di un’intervista televisiva a Bertinotti: notai una sostanziale differenza nelle sue dichiarazioni tra il prima e il dopo della formazione del governo Prodi…e pensai: «Ora anche lui ha ottenuto la sua “poltrona”…e chi lo smuove più!?».
Ero appena tornato dalla Sardegna e avevo trovato a casa di Daniela una vecchia biografia di Gramsci e vidi una foto che mi scosse molto: Antonio Gramsci fotografato a Torino…per la prima volta lo vidi per intero e non a mezzo busto.
Non sapevo nulla dei suoi problemi fisici, della sua malattia. Allora l’ammirazione per lui crebbe (e già ne avevo….avendo letto tra le altre cose alcuni brani sulla Questione meridionale), per quello che riuscì a fare nel suo breve “arco” di vita.
Il titolo è tratto da una raccolta poetica di Gianni D’Elia: una bellissima raccolta con la quale il poeta traccia un «bilancio esistenziale e politico.
E’ bassissima stagione per le vicende pubbliche, per gli ideali collettivi dispersi nella svendita o nella menzogna» (Bassa Stagione, Einaudi).
Nell’esprimere in segni grafici la politica italiana non si può non pensare a maschere e poltrone. L’immagine grande di Gramsci sembra quasi un poster appeso al muro del quale ognuno si vanta.
L’apostrofo de L’Unità sembra una lacrima e sembra quasi volesse dire…: “che fine ha fatto il mio giornale e il giornalismo in generale!”. Esprime quindi ciò che penso della politica italiana attuale e purtroppo non è una visione ottimistica.
Pensare a questa classe dirigente, pensare che poco meno di 40 anni fa erano in piazza a combattere quella classe politica, quel sistema sociale, quel sistema scolastico e addirittura quel sistema familiare….non può che farti star male quando si avvicina il periodo elettorale e sei chiamato in un collegio ad esprimere il tuo voto, a fare “un segno sul tuo segno” (Gaber e Luporini). Sì, ma quale segno?!
LA PAZZIA
La tempesta in cui siamo ha il nostro nome
(Gianni D’Elia)
Prima pagina: “ancora morti sulla strada”. Seconda pagina: “violenza negli stadi”. Terza pagina: “diciottenne si butta dal V piano”. Quarta pagina: “ancora mistero sul delitto familiare”.
“Non un giornale – ho pensato – ma un cimitero in fogli!”. E’ come se a governare fosse la pazzia.
«Non ci rendiamo conto
Che siamo tutti in preda
Di un grande smarrimento
Di una follia suicida.
E sento che hai ragione se mi vieni a dire
Che anche i più normali
In mezzo ad una folla
Diventano bestiali
E questa specie di calma
Del nostro mondo civile
È solo un’apparenza
Solo un velo sottile».
(Verso il Terzo millennio, Gaber-Luporini)
La pazzia, che si esplica nella totale convivenza di elementi di serenità quasi quotidiana (una poltrona, una televisione, un tavolo e una sedia sono elementi tipici di un nido familiare) ed elementi di violenza e di morte (la strada, il coltello, il cappio, il pallone da calcio).
“Si parla molto della follia contemporanea, del suo correlarsi all’universo della macchina e al venire meno dei rapporti affettivi diretti tra gli uomini. Questa correlazione non è certo fittizia, e non è un caso se il mondo patologico assume così di frequente, ai nostri giorni, l’aspetto di un mondo in cui la razionalità meccanicistica esclude il persistere della spontaneità della vita affettiva” (da Malattia mentale e psicologia, di M. Foucault).
Mi colpirono molto le parole del poeta Gianni D’Elia: «Gli italiani sono maleducati sentimentalmente. Perché, l’analfabetismo sentimentale e quindi la violenza, da dove viene? Viene dal fatto che uno non scava dentro di sé, non conosce niente di se stesso e quindi giudica gli altri e il mondo sempre da fuori» (dall’intervista Pasolini: morte italiana). Manca proprio quel rapporto di sentimento, di “sentire” tra “L’io e gli altri” (dall’omonimo saggio di R. D. Laing). Mai come ora è venuta a mancare la “pietas umanistica”. Come si spiegherebbe allora il filmare la tragica morte di una sedicenne marocchina, investita da un autobus, da parte dei compagni di scuola?
Ed ecco allora il ruolo educativo della poesia e quindi del teatro, del teatro che «ci rinvia alla trascritta vita». Questo spiega il “mio” teatro senza un pannello una parete di fondo, senza uno sfondo ben delimitato, ma solo l’orizzonte, le montagne, il cielo, la realtà. L’occhio della poesia e del teatro sulla realtà.
«Se il reale è lingua orale,
e il cinema lo scrive,
che cos’è il teatro, padre?
«Eh, lingua orale della lingua orale
è il teatro, e come la lingua
scritta del cinema, ci rinvia alla
trascritta
vita, che di se stessa è lingua orale,
rende il teatro presente la fitta della vita,
che si dà nel parlare
parlare nel parlare e nel pensare…»
INSOMNIA o NOCHE PRIVADA
a N y S
Che m hanno regalato
Un pezzettino
Del loro mondo
“De fierro,
de encorvados tirantes de enorme fierro, tiene que ser la noche,
para que no la revienten y la desfonden
Las muchas cosas que mos abarrotados ojos han visto,
las duras cosas que insoportablemente la pueblan.”
(J. L. Borges, Insomnia)
“Buio d’inferno e di notte privata”
(Dante, Purgatorio XVI, I)
“Ah, come solo in un lampo
Di mortaretto si placa,
se squarcia il Buio d’inferno
un incanto di notte privata”
(Gianni D’Elia, Notte privata)
Tutto tace, tutto è calmo, è pacato, sereno, ma è una calma apparente, ambigua. La frenesia del giorno si riversa immancabilmente nella notte, gravata dall’onere di sorreggere le “dure cose che insopportabilmente la popolano”: i valori del mercato, che sostituiscono i vecchi valori del secolo passato, e religiosi, lontani ormai dal loro vero credo; le ciminiere industriali; la crescita “violenta” della città legata all’abusivismo edilizio (“forte petomane/scritta dal diavolo/in spregio solenne dell’umanità”, Molto lontano, Paolo Conte); le catene gastronomiche; le violenze private.
La notte come un immenso vaso di pandora, pronto a trasbordare con il peso dei mali che ricadono sul mondo, che inghiottono tutto e tutti, le opere in generale e l’individuo in particolare, necessita di una forza maggiore che la aiuti a sorreggersi: due “encorvados tirantes”, metafora di un lavoro costante per la costruzione forse di un mondo migliore che parte necessariamente dall’io, dalla persona, per arrivare alla società.
Una notte vangogghiana dei nostri giorni , uno stile surreale caratterizza questo quadro dai toni pacati sfumati, interrotti dalla comparsa dei due tiranti, che irrompono violentemente nella scena notturna, marcando il senso della poesia di Borges (Insomnia, da L’altro, Lo Stesso), quindi con funzione di sostegno, di atlanti ferrei del moderno.
Daniela P.
Non manca certo un significato molto più intimistico (il più intimistico di tutti!), personale, autobiografico, legato proprio ad un determinato periodo, ad una lunga-breve notte privata.
SCACCO MATTO
“Andatelo a dire
ai caduti di ieri
che il loro morire
fu come le nevi”
(Gianni D’Elia)
“Ed io, Antonius Block, sto giocando a scacchi con la morte.”
(da IL SETTIMO SIGILLO, Bergman)
“Possiamo sempre fare qualcosa”
(G. Falcone)
E’ un omaggio a Giovanni Falcone e a chi, come lui, ha perso la vita per giocare questa bergmaniana partita degli scacchi bianchi contro quelli neri, dell’”Eroe” contro la Morte, dell’antimafia contro la mafia. E’ un omaggio a chi si batte, ancora, ogni giorno per difendere valori di giustizia, a chi ha scelto come motto di vita, uno degli insegnamento di Giovanni Falcone: “Non mi sono mai chiesto se dovevo affrontare o no un certo problema, ma solo come affrontarlo”.
“Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a difendere”(G. F.).
Infatti, ad un certo punto, si arriva ad una “zona grigia” dai contorni sfumati, dove l’antimafia compenetra nella mafia stessa, come pedine “mangiate”. Ciò che rimane è solo la festività delle inaugurazioni agli anniversari e gli “omaggi” materiali dello Stato (un ulivo, una statua), metafora della solitudine di quella parte della Giustizia non corrotta.
PAURA
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“la tierra es una fruta negra que el cielo muerde”
(Tengo miedo, da Crepusculario, di P. Neruda)
Ho paura. La sera è grigia e la tristezza
del cielo si apre come la bocca di un morto.
Il mio cuore ha un pianto di principessa
dimenticata nel fondo di un palazzo deserto.
Ho paura. E mi sento così stanco e piccolo
che rifletto la sera senza meditare su lei.
(Nella mia testa malata non deve entrare un sogno
così come nel cielo non è entrata una stella).
Tuttavia nei miei occhi una domanda esiste
e c’è un grido nella mia bocca che la mia bocca non grida.
Non v’è orecchio nella terra che oda il mio lamento triste
abbandonato in mezzo alla terra infinita!
L’universo muore d’una calma agonia
senza la festa del sole o il crepuscolo verde.
Agonizza Saturno come una pena mia,
la terra è un frutto nero che il cielo morde.
Per la vastità del vuoto vanno cieche
le nubi della sera, come barche perdute
che nascondessero stelle spezzate nelle loro stive.
E la morte del mondo cade sulla mia vita.
(Paura, da Crepuscolario, di Pablo Neruda)
“Non è lo stesso terrore che suscita il toro iracondo, il pugnale che minaccia, o l’acqua che s’inghiotte. E’ un terrore cosmico, un’istantanea insicurezza, l’universo che crolla e si dissolve. E intanto, la terra risuona d’un sordo tuono, con una voce che nessuno le conosceva.”
(da Confesso che ho vissuto, di P. Neruda)
FONTANA CHIARA
«…
y en la fontana dulce de mi sueño
se reflejó otra fuente estremecida».
(P. NERUDA, El padre, da Crepusulario)
“Fontana chiara” deve il suo nome all’omonima canzone del cantautore calabrese Rino Gaetano, le cui uniche parole sono “Fontana chiara, un poco dolce un poco amara”. Pochissime parole, quasi una poesia ermetica, per esprimere, allo stesso tempo, le bellezze e le contraddizioni del Meridione.
Infatti l’oggetto del dipinto è proprio il Sud, richiamato metaforicamente attraverso una fontana, dalla quale scaturisce, seppur a piccole gocce, un’acqua fresca, limpida, pulita, «A no è aga pì fres-cia che tal me paìs» (Dedica, da La Meglio Gioventù, P.P. Pasolini). Esprime l’immagine e il simbolo delle bellezze paesaggistiche del Sud, ma anche la sua vitalità, l’accoglienza e la voglia di vivere insita nelle sue popolazioni, ricche di culture e di tradizioni, che si riflettono in maniera esemplare in una “fontana”, la quale pare offrire «un sorso di vita ad ogni vita,/che in sé grata l’accoglie» (Fontanella, da Ultime Cose, U.Saba).
Lo sgorgare dell’acqua non dal canale d’uscita ma lateralmente, e in eccesso rispetto a quella contenuta nel secchio, manifesta una critica esplicita alle contraddizioni presenti nel Meridione, sia a livello politico che socio-culturale, un’amara constatazione pasoliniana:
Fontana di aga di un paìs no me.
A no è aga pì vecia che ta chel paìs.
Fontana di amòur par nissùn.
(Dedica, da La Nuova Gioventù)
Ed ecco che anche la goccia d’ acqua che cade all’interno del secchio, acquista allora un valore simbolico: rappresenta tutte quelle persone che cercano di opporsi ad un determinato sistema, politico e sociale, tutte quelle persone che si battono, lottano, affinché la loro terra non sia governata da una mentalità e una classe dirigenziale “mafiosa”.
INTERPRETAZIONE EVOLUTIVA ART.1 COST.
A P e M,
che lavorano
E le chiamano morti bianche,
ma non dovrebbero chiamarle
piuttosto, morti tante, tante, tante…
(La ballata dell’invalido, di Gianni D’Elia)
“L’Italia è una Repubblica democratica,
fondata sul lavoro”
(art.1 Cost)
La Repubblica italiana fonda le proprie radici sul lavoro, in primis sul diritto al lavoro e quindi su tutta una serie di diritti (alla sicurezza, alla pensione, alla salute…).
Uno Stato che ha una media di 3,5 morti sui posti di lavoro al giorno, viene meno al proprio fondamento, al proprio pilastro, alla propria natura democratica. Ecco allora la mia interpretazione evolutiva dell’articolo 1 della Costituzione: la personificazione scultorea della Repubblica che stringe tra le mani la Costituzione, una Repubblica rivolta al lavoro, che si fonda sul lavoro, ma che è sorda e non riesce a garantirne i diritti fondamentali. Per tale motivo volta le sue spalle a una lapide, simbolo delle numerose morti bianche, su cui il candido giglio dell’innocenza rimane solo, sfiorito, sgualcito a rappresentare quelle voci inascoltate, quei pianti e quella rabbia di coloro che rimangono, di coloro che hanno perduto i propri cari, e che nessuno e niente potrà ripagare.
Sullo sfondo, sono raffigurati gli elementi essenziali del lavoro: una fabbrica e altri edifici industriali, espressione dei gravi danni alla salute cui possono essere esposti gli operai nel tempo; un edificio in costruzione con una scala (l’idea principale era una impalcatura, ma poi ho pensato alla scala perché rappresenta maggiormente il livello di insicurezza sui posti di lavoro). Infine, in secondo piano un treno, lavoro molto ambito soprattutto in passato, ma espressione anche di quel fenomeno che è l’emigrazione, tema a me molto caro, essendo figlio di emigranti ed emigrante io stesso!
Gianni D’Elia
Ballata dell’invalido
E li chiamano incidenti sul lavoro,
ma non li dovrebbero chiamare
piuttosto, incidenti sul capitale?…
Meno soldi e meno diritti,
questa è la danza che s’ha da danzare,
il ballo del lavoro col capitale!…
E le chiamano morti bianche,
ma non dovrebbero chiamarle
piuttosto, morti tante, tante, tante…
Tante morti sui luoghi del capitale:
cantiere, sterro, officina,
sui ponteggi, al tornio, sotto terra,
questo ballo del lavoro è una guerra!…
Morti e feriti, ogni giorno, e via!…
Questo è il ballo italiano e globale..
Meno soldi e meno diritti, mafia,
questa è la danza illegale,
il ballo del lavoro col capitale!…
Chi non ci lascia la pelle,
ci lascia qualcos’altro,
Ogni parte del corpo è buona!…
Buona la faccia, buona la mano,
buono il braccio, l’occhio, il moto umano!…
La vita rubata qui si assapora…
“E quindi uscimmo a riveder le stelle.”…
Sì, ora ho tutto il tempo per la poesia,
ma sulla mia sedia a rotelle!…
E li chiamano incidenti sul lavoro,
ma non li dovrebbero chiamare
piuttosto, incidenti sul capitale?…
IL BACIO
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