L’inattesa assenza di ogni tua parola
(A Giorgio G., 1 gennaio 2003)
Nel dipanarsi ruvido del Tempo,
tra i crepitanti fuochi
nel cielo di stanotte,
trattengo forte il tuo inusuale altrove
nel mio ricordo vivido;
e lo fermo
perché rimanga lì,
stagliato in controluce,
a dar motivo all’alibi
di un altro giorno ancora
con l’inattesa assenza
di ogni tua parola
A Giorgio G
Bavero alzato e sigaretta in mano
così ti vidi io l’ultima volta
sorriso dolce a “buttar lì” parole
come ogni sera, sull’orlo della vita.
Così mi salutasti, prima di andare via.
Non so se fu l’urgenza, quella della tua voce
O quella nuova delle nostre vite;
o l’attimo di buio nella sala
quando la luce piano piano cala;
o le tue pause che ci scoprivan muti
quando tutto scrutavi in noi,
per poi filtrarlo e restituirlo indietro.
Ma il congedarsi ci lasciava poi
sempre diversi, mai gli stessi.
Come parlavi Giorgio,
come parlavi!
Ci prendevi per mano dalle nostre poltrone
e ci portavi piano
dall’allegria al dolore,
dall’ironia al pensare
Quanto vorrei essere ancora
insieme a tanti altri
ad aspettare il buio nella sala
e a volte, sai,
sedendomi in platea,
quando il sipario s’apre,
mi piace immaginare, quando torna la luce,
di sentire parlare la tua voce
Capo Nord
La strada verso Hammerfest
sembrava non finire,
come logico archetipo
del nostro cammino
e nulla era più dolce e forte
di quel silenzio,
equilibrio cosmico
modulato su paure indecifrabili.
Dovevamo arrivare,
nonostante la notte luminosa,
oltre le regole capovolte
di quel sole irreale.
Fuori gli alberi, impassibili,
riciclavano muti
le irrequiete ferite
del nostro essere
Cronopatie
Dovrai pur fermarti un giorno.
tu corri verso il futuro e non ti accorgi
che fluisce già verso di te,
nonostante la tua corsa.
Così accorci solo questa finzione del Tempo
e inventi il moto dove nulla può muoversi
(paradossi o no quelli di Zenone?),
tu inaridisci la scelta nella ripetizione,
cerchi l’ubiquità dove non esiste limite,
ignori che siamo sempre al centro di spazio e tempo,
ribalti la tua afasia su piani immaginari
dove nulla esiste o tutto è già esistito.
Volerò sulla tua immobilità,
quando ti fermerai.
Sarò la memoria di quel tuo
Incessante incedere, oppure il Nulla
La palude
Nel campo la palude fangosa
ma tutt’intorno la pianura
e poi altre ancora…
e una regione enorme
ed altre ancora…
e tutt’intorno il mare
ed oltre il mare altre regioni,
altre pianure, altri campi,
altre paludi.
Fu allora che alzò gli occhi
e si accorse del cielo
pulito, immenso,
che nessuno sa dove finisca
e tutto copre:
mare, regioni, pianure, campi e paludi.
Sollevò la testa dal fango e si ripulì.
“Di te mi fido ciecamente -disse-
Insegnami a volare”
Risveglio
Tautologie sommerse
ricercano livelli più sensibili.
Nell’immediato svolgersi
di sopite sinapsi
sconfiggeremo i sogni
al limitare dell’alba
Maschere
Non serviranno
gli specchi di Borges,
quello immenso della natura,
nè le infinite biblioteche del sapere
a riflettere l’immagine autentica
del nostro essere.
Ci perderemo di nuovo
sui sentieri ciclici
della nostra parvenza
L’impaginatura dei sogni
La dinamica della mia memoria
si è incrinata per sempre.
Incespico tra i dettagli del tempo,
osservando le nostre vite
rotolare sull’oscillare delle illusioni,
agitandosi impietose
tra l’impaginatura dei sogni.
Aleph
Lo smarrito sentore del Tempo
si slarga nell’abbraccio smisurato
della notte e miriadi di assonanze
infrangono lo svolgersi convenzionale
della parola
Suoni improbabili,
parole finalmente libere
dall’organica gabbia della frase
mi travolgono,
restituendomi alla dimensione
che sempre ci è appartenuta,
al gusto della parola sola, originaria
giocata su un pentagramma
finalmente senza righe
E mi ritrovo, anche se solo per un attimo,
incredulo e felice tra lo scenario
incommensurabile dell’espressione pura
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