Ci sono nell’opera di Gaber/Luporini versi, frasi, suoni che rimangono impressi nella mente, che sono come chiavi segrete per aprire e comprendere i giorni, che sono, dunque, possibili regole, norme per orientarsi o quantomeno segnali per individuare sentieri da percorrere, anche se so che questo non è mai stato da loro cercato intenzionalmente.
La loro “filosofia” era quella dello ”staccarsi dal frutto dell’atto”, cioè del “buttare lì qualcosa”, senza preoccuparsi del dopo. Questo ha portato, e forse porterà ancora, a fuorvianti interpretazioni o ad operazioni scorrette intorno alla loro opera ma, nonostante questo, la loro posizione credo che sia storicamente e culturalmente accettabile oltre che legittima.Ciò non ha impedito che i loro “princìpi” , seppur non volendo, siano divenuti punti di riferimento per molti, perché coincidono con molte delle nostre emozioni e ben si adattano alle risposte che vorremmo dare a domande da sempre insolute, diventando conferma dei dubbi che ci assalgono, dei nodi da sciogliere per arrivare alla “verità e, ancora di più, per “cercare la verità” nell’immenso mare magnum della nuova Utopia.
Gaber/Luporini sono, volenti o nolenti, “la domanda che turba, l’ironia che irride e soggioga, l’ambiguità che insinua, la frenesia razionale che sconsacra, l’apparente nichilismo che smonta gelidamente le tradizioni e disgrega le teologie”. Ma in questa apparente confusione, in questo “labirinto borgesiano” che è la loro opera, “noi” (…se potessi cominciare a dire noi…) riusciamo a trovare degli appigli verso un eternamente significante logos e il tutto senza rassegnazione e disperazione.
Questa universalità che prefigura quella che io amo definire “una crisalide di appartenenza”, non è fondata su dogmatismi ma appunto su una “metodologia di pensiero” che diventa in Gaber/Luporini anche una metodologia di vita (la coerenza del rapporto tra vita, pensiero e arte è una delle cifre distintive e centrali dei Nostri).
Questo sistema metodologico di pensiero è una forma/contenuto che credo possa ancora servire da riferimento, da filo di Arianna in questo viaggio utopico all’interno del nostro immenso labirinto. Borges sosteneva che il labirinto ha un duplice aspetto: da una parte è il caos in cui ci perdiamo, ma dall’altra ha pur sempre un suo “cosmos” un suo ordine segreto che guida Teseo al centro del labirinto dove sta il Minotauro.
Quindi questo caos, questo percorso è in fondo necessario anche se la sua complessità “labirintica” diventa il simbolo della nostra difficoltà a trovare chiavi, a capire, a scegliere, a sciogliere i nodi del caos.
Borges scriveva: ”…Ho scordato gli uomini che fui: seguo l’odiato sentiero di monotone pareti ch’è il mio destino .Dritte gallerie che si curvano in circoli segreti (…)parapetti in cui l’uso dei giorni ha aperto crepe. Nella pallida polvere decifro ombre temute (…)”. E ancora: “Non ci sarà sortita, tu sei dentro e la fortezza è pari all’universo (…) non sperare che l’aspro tuo cammino che ciecamente si biforca in due, abbia fine: è di ferro il tuo destino…”
Ma la verità esiste oggettiva e immutabile e anche se, come archetipi platonici, forse non la raggiungeremo mai, il nostro destino, anzi il nostro dovere, è quello di continuare a cercare e a cercare di capire, con speranza e utopia.
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