PREMESSA
In un mondo quotidianamente percorso da tensioni e violenza, inquietato da dilemmi etici, lacerato da questioni politiche e sociali drammatiche, tuttora dominato da guerre e sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dove l’equilibrio ecologico è ogni giorno più precario, può sembrare secondario e quasi irrispettoso sollevare il problema della sofferenza degli animali non umani e riduttivo sottolineare l’urgenza dell’intensificazione di un movimento per la liberazione animale.
Eppure lo sfruttamento dell’uomo nei confronti degli altri animali non umani altro non è che una delle molteplici manifestazioni di un’unica concezione e il progresso morale, politico e sociale dell’uomo non può che realizzarsi avvertendone le interconnessioni, capendo che questa è rimasta un’ultima barriera insanguinata non ancora superata e che il suo abbattimento ha pari dignità e deve camminare di pari passo con altre conquiste morali, politiche e sociali.
Si aggiunga a ciò che gli animali non umani non sono in grado di organizzare la loro protesta, di rivendicare i diritti di cui sono portatori e che inoltre la tirannia, il dolore inflitto e il disprezzo della vita che l’uomo ha nei loro confronti non ha termini di paragone.
Quali sono i motivi che spingono l’uomo a sentirsi autorizzato sistematicamente a sfruttare, infliggere sofferenze e procurare la morte ad altri esseri viventi e senzienti?
Esistono per questo comportamento fondamenti logici e “superiori necessità” che non ammettano alternative?
E, in ogni caso, è tutto ciò eticamente fondato?
Sono queste alcune delle domande su cui bisogna riflettere e da cui partire per poter accedere alla possibilità di una sorta di “nuova rivoluzione copernicana” che rimetta in discussione la visione antropocentrica che vede l’uomo arbitro assoluto dell’universo, investito di un “diritto divino” di vita e di morte su tutti gli altri esseri viventi.
UN APPROCCIO ETICO: LO STATUS MORALE
La moralità dovrebbe essere per noi un modo di vita pervasivo, il che non significa necessariamente richiedere o progettare l’eliminazione della non-morale, ma soltanto l’assunzione di un punto di vista morale come atteggiamento di base.
Il punto di vista morale riveste una fondamentale importanza nel processo di liberazione animale in quanto l’ulteriore passo che viene richiesto all’umanità in campo etico presuppone la presa di coscienza dell’esistenza di diritti e di uno status morale degli animali non umani che li riconosca meritevoli di considerazione, rispetto e giustizia.
L’approccio etico deve partire da questa considerazione:
Un’entità può essere un agente morale o un paziente morale o l’uno e l’altro, oppure né l’uno né l’altro.
Si definisce AGENTE MORALE un essere in grado di agire, i cui atti possono essere propriamente sottoposti a valutazione in quanto giusti o sbagliati.
Gli adulti umani normali e, probabilmente, gli adulti di altre specie animali sono agenti morali (alcuni filosofi inseriscono in questo novero anche altre entità quali le culture, le società, le nazioni, ecc.).
Un bambino molto piccolo e così pure i pazzi, i ritardati gravi e i comatosi non possono essere definiti agenti morali.
Si definisce PAZIENTE MORALE un essere il cui trattamento può essere propriamente sottoposto a valutazione in quanto giusto o sbagliato.
Un infante umano non è un agente morale ma è un paziente morale, in quanto ha importanza se viene maltrattato. Gli umani e gli altri animali non umani sono pazienti morali.
Infliggere sofferenze a dei pazienti morali è intrinsecamente sbagliato in quanto essi sono detentori di uno status morale.
Un’altra importante considerazione è quella riguardante il concetto di PERSONA.
Come molti filosofi hanno sempre sottolineato UMANO E PERSONA non esprimono lo stesso concetto e la confusione tra due termini ha sempre generato notevoli problemi concettuali.
Per fare dei semplici esempi pensiamo che secondo la dottrina cristiana i componenti della Trinità sono persone ma solo una ha natura umana. E se più profanamente si pensa che, ad esempio, in Star Trek il personaggio del Dr. Spock è rappresentato evidentemente come una persona sebbene sia solo semi-umano si può dedurre che, se non altro anche solo concettualmente, è possibile pensare ad una persona che non sia umana.
In realtà non si è persone per appartenenza di specie ma piuttosto l’accesso a questo stato viene correntemente concesso a chi possiede CARATTERISTICHE MORALI RILEVANTI.
Ma quali caratteristiche possono essere definite moralmente rilevanti?
I filosofi morali non sono concordi al proposito ma fra le plausibili candidate troviamo la sensibilità, la memoria, il senso del sé, la capacità di comunicare, l’interesse per i propri cospecifici, la socievolezza, l’intelligenza ed altre ancora.
Un caso a parte riguarda il presunto possesso, solo umano, di un’anima immortale.
Ma se si ritiene che gli altri animali non umani ne siano sprovvisti apparirà chiaro che è molto più grave uccidere un animale che non un uomo. L’anima dell’umano, secondo questa prospettiva, continua ad esistere, ma privare l’animale dell’esistenza corporea significa privarlo di tutto.
A parte questo caso limite si può facilmente notare che quasi tutte le caratteristiche che aspirano alla rilevanza morale possono variare secondo delle gradazioni.
Questo fa nascere istintivamente la tentazione di individuare delle linee di delimitazione che non possono che essere arbitrarie.
In pratica si verifica quello che può succedere riguardo ad altre questioni.
Prendiamo ad esempio il concetto di ‘maturità’. E’ innegabile che esiste certamente uno stato quale la ‘maturità’ ma non ci sono limiti precisi che stabiliscano a quale età si è veramente maturi. Ogni linea di delimitazione non può che essere arbitraria e convenzionale.
C’è poi da tenere in considerazione un altro aspetto: assumere una sola caratteristica come criterio per l’attivazione dello status di persona può essere fuorviante.
Prendiamo ad esempio il caso dell’intelligenza:
Se definiamo l’intelligenza come capacità di elaborazione dell’informazione si potrebbe arrivare a dire che i computer sono persone e i comatosi non-persone.
Se definiamo l’intelligenza come adattamento dei mezzi ai fini essa è senz’altro riscontrabile anche in molte altre specie animali.
Altri esempi potrebbero essere fatti con altre definizioni.
Rimanendo al nostro esempio, la realtà è che molti sono gli aspetti dell’intelligenza e le sue varietà e, anche non escludendone alcuno, l’intelligenza continuerà a non essere tutto.
Inoltre se possedere un maggior grado di intelligenza non autorizza un umano a servirsi di un altro umano per i propri fini come può utilizzare gli umani a sfruttare i non umani per gli stessi scopi?
La verità è che nessuna singola caratteristica è tutto e anche il confine tra i concetti di ‘persona’ e ‘non-persona’ è in realtà molto sfumato arrivando a comprendere anche delle quasi-persone.
Tutti gli esseri consci hanno diritto ad un’equa considerazione e noi abbiamo il dovere morale di rispettare i loro interessi e la loro autonomia.
ALCUNI CENNI STORICO-TEORICI
Numerose e diverse sono state nel corso della storia e della filosofia morale le posizioni assunte sul rapporto tra l’uomo e gli altri animali non umani.
Prendiamo in esame, per sommi capi, alcune di esse che storicamente e teoricamente assumono un notevole rilievo.
Il pensiero pre-cristiano
E’ un periodo dominato da due concezioni fondamentali. La prima è quella ebraica di derivazione biblica, una concezione gerarchica per cui tutte le creature sono state consegnate da Dio nelle mani dell’uomo con l’autorizzazione divina di disporne a piacimento.
La seconda è quella ricollegabile al pensiero greco e all’interno di esso (prescindendo da alcune eccezioni quali il pensiero di Pitagora) la posizione dominante è stata senz’altro quella di Aristotele, concezione teleologica per cui ogni essere ‘inferiore’ è stato creato con il fine di ‘servire’ agli esseri ‘superiori’.
Il pensiero cristiano
Il pensiero cristiano rappresenta una grande svolta e riesce ad unire la concezione ebraica con quella aristotelica con però un’enfasi maggiore sull’uomo. Esso appare, in questa concezione, unico nel creato, dotato di un’anima immortale. Il possesso di questa caratteristica detrmina la ‘santità’ della vita umana. Se questa concezione rappresenta indubbiamente un progresso morale nei confronti dell’uomo, garantendo a tutti uguale valore e dignità, nei confronti degli animali non umani rappresenta un vero regresso morale in quanto, elevando enormemente l’uomo al di sopra degli altri animali non umani, trasforma in un baratro la distanza che già li divideva dagli uomini.
Anche alcune posizioni cristiane, senz’altro più avanzate, risentono di questa concezione.
Prendiamo come esempio San Francesco. Egli chiamava fratelli e sorelle non solo gli animali ma tutte le cose. Questa visione olistica portava a questa conclusione: tutto ha lo stesso valore e, poiché dobbiamo mangiare per sopravvivere, è indifferente mangiare una pianta o un animale. Infatti San Francesco mangiava i suoi ‘fratelli animali’.
Il pensiero cartesiano
Il pensiero meccanicista di Cartesio portò a conseguenze funeste per gli animali non umani.
Egli arrivò a sostenere che essi altro non erano che ‘macchine’ prive di qualsiasi coscienza e sensibilità e che il loro organismo non era niente di più di un meccanismo come quello degli orologi. Si poteva quindi agire su di essi con la stessa indifferenza che possiamo avere nello smontare un orologio.
Kant/Tommaso d’Aquino
Questi due pensatori sono accomunati dall’affermazione che la crudeltà verso gli animali è sbagliata, non intrinsecamente, ma solo in quanto chi è crudele con gli animali sarà portato ad esserlo anche con gli umani. Questa concezione denota una mancanza totale di interessamento diretto per le sofferenze subite dagli animali.
Jeremy Bentham
L’importanza di questo pensatore inglese risiede nella sua formulazione della “sensibilità” quale prerequisito morale.
Questa concezione è esemplarmente espressa in questo brano del 1789:
“C’è stato un giorno, e mi addolora dire che in molti luoghi non è ancora passato, nel quale la maggior parte della specie, grazie all’istituzione della schiavitù, è stata trattata dalla legge esattamente nello stesso modo in cui, in Inghilterra per esempio sono ancora trattate le razze inferiori degli animali.
Verrà il giorno in cui il resto degli animali potrà acquisire quei diritti che non gli sono mai stati negati se non dalla mano della tirannia. I Francesi hanno già scoperto che il colore nero della pelle non è un motivo per cui un essere umano debba essere abbandonato senza riparazione ai capricci di un torturatore.
Si potrà un giorno giungere a riconoscere che il numero delle gambe, la villosità della pelle, o la terminazione dell’osso sacro sono motivi egualmente insufficienti per abbandonare un essere sensibile allo stesso fato.
Che altro dovrebbe tracciare la linea invalicabile?
La facoltà di ragionare, o forse quella del linguaggio?
Ma un cavallo o un cane adulti sono senza paragone animali più razionali, e più comunicativi, di un bambino di un giorno, o di una settimana o persino di un mese.
Ma anche ammesso che fosse altrimenti, cosa importerebbe?
Il problema non è: ‘Possono ragionare?’, né: ‘Possono parlare?’, ma: ‘Possono soffrire?’ ”
(da The Principles of Morals and Legislation, 1789, cap. 17, sez. 1)
Il XIX secolo
E’ il secolo della nascita della compassione e della benevolenza verso gli animali non umani e in cui si cominciano a promulgare leggi che, anche se limitatamente, tutelano gli animali non umani da indiscriminati maltrattamenti. Influisce in parte su questo nuovo atteggiamento anche l’affermarsi della teoria evoluzionista di Darwin.
Il XX secolo
E’ soltanto in questo secolo che nascono dei gruppi ‘animalisti’ che a diversi livelli e da diverse prospettive teorizzano la necessità della ‘liberazione animale’.
In questo secolo nascono le più strutturate ed importanti teorizzazioni sull’argomento.
Tesi della crudeltà
E’ una tesi che offusca i fondamentali temi morali rischiando di risultare controproducente. Questa concezione, che si riallaccia a quella di Kant e ad alcune posizioni di Locke, sostiene che non dobbiamo infliggere sofferenze agli animali perché ciò è crudele.
Questo ragionamento mette l’accento sullo stato mentale dell’agente dato che la crudeltà afferisce ad esso. Ma la correttezza morale di un’azione non dipende dallo stato mentale dell’agente. Una persona può fare quello che è giusto o quello che è sbagliato qualunque sia il suo stato mentale.
Questa tesi condanna le persone per ‘ciò che sono’ non per ‘quello che fanno’.
Un allevatore che fa soffrire ed uccide vitelli non è necessariamente crudele ma la sua azione è comunque sbagliata.
La prospettiva utilitarista
Peter Singer può essere giustamente ritenuto uno degli alfieri della liberazione animale ma la sua prospettiva di stampo utilitarista lascia la strada aperta a molte contraddizioni suscitando notevoli perplessità teoriche.
L’utilitarismo, basandosi sui due principi di eguaglianza e di utilità, pone l’accento sui risultati e le conseguenze di un’azione. Il suo scopo è di ottenere una massimizzazione dell’eccedenza di bene sul male.
Questo criterio esclude di fatto che un’azione possa essere giusta o sbagliata in sé ma solo in quanto soddisfi o meno a questa condizione.
La tesi dei diritti animali
La tesi dei diritti animali formulata da Tom Regan
è senz’altro la più avanzata fra le teorizzazioni della liberazione animale.
Prendendo atto dei limiti insiti nelle altre teorie, incapaci a garantire principi morali certi, questa teoria postula l’esistenza di diritti animali.
I diritti individuali devono sempre prevalere sugli scopi del gruppo. Cioè i diritti morali dell’individuo pongono un limite legittimo a ciò che la collettività può fare all’individuo stesso.
Ma qual è l’elemento insito negli umani e negli altri animali tale che noi possiamo dire: “Questa è la ragione per cui non si deve danneggiare l’individuo anche se il gruppo ne trae beneficio?”
La risposta è data dall’affermazione che gli individui hanno un VALORE INTRINSECO senza che esso sia derivato, ad esempio, dalla loro utilità.
Ma quale elemento insito in un individuo è tale da costituire la base di questo valore intrinseco?
La risposta di Tom Regan è questa: Gli individui non sono soltanto vivi; essi ‘HANNO UNA VITA’. Ciò significa che ciascun individuo è il SOGGETTO DI UNA VITA che è migliore o peggiore per lui in quanto individuo in modo logicamente indipendente dagli interessi degli altri.
Gli altri possono certo contribuire ad accrescere o diminuire il valore delle nostre vite (si pensi all’amore, all’amicizia, oppure all’odio, alla solitudine, alla rassegnazione, ecc.) ma il nostro essere ‘soggetti di una vita’ esiste in sé in ogni caso senza dipendere da ciò che gli altri fanno o non fanno.
Esiste quindi uno STATUS MORALE DEGLI INDIVIDUI DI PER SE STESSI.
O si detengono diritti in quanto soggetti di una vita oppure no e chiunque detiene diritti li detiene in eguale misura.
Questa teoria dei diritti lascia indubbiamente pochissimo spazio ad ambiguità e condizionamenti sulla strada di un’effettiva liberazione animale.
ALCUNE OBIEZIONI ALLA LIBERAZIONE ANIMALE
L’atteggiamento verso chi propugna la necessità di un diverso rapporto tra l’uomo e gli altri animali non umani, anziché essere pacato e, come minimo, di apprezzamento per persone che, bene o male, cercano di porre degli interrogativi di natura etica e sociale, assume molto spesso la forma di una reazione aggressiva che, nell’acredine con cui si cerca di minimizzare la portata di tale scelta quasi ‘criminalizzandola’ e di giustificare la corrente pratica di sfruttamento degli animali non umani, lascia quasi sospettare l’esistenza di inconsci ‘sensi di colpa’ e di meccanismi psicologici di ‘proiezione’.
Cerchiamo di prendere in esame solo alcune delle più frequenti e comuni obiezioni sollevate al riguardo.
Obiezione ‘NATURALE’
Alla base di questa obiezione stanno queste due affermazioni:
“Gli animali si mangiano l’un l’altro…”
“Ciò che noi facciamo è ‘naturale’ e noi assumiamo solo il nostro ruolo nella natura…”
Per quanto riguarda la prima affermazione possiamo subito notare che è vera solo in parte in quanto non riguarda, ad esempio, i bovini e gli altri erbivori.
Inoltre è alquanto strano che chi così argomenta non accetti con rassegnazione che un animale divori un uomo ma anzi tenda a criminalizzarlo e magari a ‘punirlo’ (nonostante non lo consideri capace di far propri degli obblighi morali).
E’ vero che gli animali si mangiano l’un l’altro ma essi non hanno scelta, per loro questo è ‘CIO’ CHE DEBBONO FARE PER SOPRAVVIVERE ‘. Da ciò consegue che anche noi dovremmo limitarci a fare solo ‘CIO’ CHE DOBBIAMO FARE PER SOPRAVVIVERE ‘ e per questo non è necessario mangiare, indossare, torturare e sfruttare gli altri animali non umani.
Per quanto riguarda la seconda affermazione notiamo come viene reintrodotta una visione gerarchica ormai superata dopo Hume e Darwin e che comunque tende come conseguenza a legittimare il principio per cui ‘IL PIU’ FORTE E’ AUTORIZZATO DALLA SUA POSIZIONE ‘NATURALE’ A SACRIFICARE GLI INTERESSI DEL PIU’ DEBOLE A VANTAGGIO DEI PROPRI’.
Ma uno dei fini primari della GIUSTIZIA dovrebbe essere proprio quello di ‘CORREGGERE L’ARBITRARIETA’ DI QUESTO MONDO’.
La storia del progresso morale è sempre stata, per certi versi, la storia di sostituzioni di visioni del mondo gerarchiche con visioni di egualitarismo (uguaglianza tra bianchi e neri, tra uomo e donna, ecc.).
Abbattere quest’ultima sanguinaria barriera gerarchica non sarebbe che un ulteriore passo avanti del progresso morale.
Obiezione del CONTRATTO NATURALE
Alla base di quest’obiezione sta la seguente affermazione:
“Abbiamo diritto a disporre degli animali come vogliamo perché li abbiamo fatti nascere ed allevati…”
Partiamo da questa considerazione concettuale: a chi viene procurato il ‘favore’ dell’esistenza? All’animale non-esistente? Non è possibile né favorire né danneggiare ‘un essere che non esiste’ (già il termine è una contraddizione).
Ma anche ammesso ciò, perché lo stesso ragionamento non dovrebbe valere per i figli umani? A tale proposito Jonatan Swift avanzò l’ironica proposta di ingrassare i bambini al fine di mangiarli dal momento che “un bambino in buona salute, ben nutrito, costituisce, a un anno di età un pasto altamente appetitoso, nutriente e sano, sia che venga cotto in umido, o al forno, o arrosto, o lesso”.
Obiezione ‘PERSONALE’
Alla base di questa obiezione sta la seguente affermazione:
“Se anche smettessi di cibarmi di animali o di usare prodotti da loro derivati ci sarebbero pur sempre altri che continuerebbero a farlo”.
A parte altre considerazioni che potrebbero essere sollevate (es. la legge della domanda e dell’offerta) SE SI RITIENE CHE UN’AZIONE SIA IMMORALE QUESTA E’ GIA’ IN SE’ STESSA UNA RAGIONE SUFFICIENTE PER RIFIUTARE DI PRENDERVI PARTE.
LO SPECISMO
Forse a questo punto può cominciare ad apparire un po’ più chiaro che, se sviluppassimo ulteriormente le considerazioni etiche, storiche e filosofiche a cui abbiamo solo molto sommariamente accennato, non riusciremmo a trovare nessun motivo realmente giustificativo o fondato moralmente per il nostro atteggiamento nei confronti degli animali non umani.
O meglio si potrebbe dire che le argomentazioni che l’uomo sostiene per giustificare questo suo atteggiamento servono a mascherare il vero motivo, esaustivo in se stesso, per cui lo ritiene fondato.
Questo motivo è il fatto che NOI APPARTENIAMO ALLA SPECIE UMANA, GLI ALTRI ANIMALI NO. Solo l’APPARTENENZA DI SPECIE ci darebbe il diritto di ‘usare’ gli altri animali.
Quando una persona, solo perché appartiene ad una razza, si ritiene in diritto di esercitare potere su un’altra di razza diversa, parliamo di RAZZISMO.
Quando una persona, solo in virtù del suo sesso, pretende di poterne dominare un’altra di sesso diverso, parliamo di SESSISMO (connotatosi storicamente soprattutto come MASCHILISMO).
Quando una persona ritiene di avere diritti su un altro essere vivente solo perché non appartiene alla sua stessa specie, parliamo di SPECISMO.
SPECISMO, RAZZISMO e SESSISMO hanno le stesse caratteristiche.
Dovrebbero essere logicamente inconcepibile, ad esempio, dichiararsi anti-razzisti e anti-sessisti e contemporaneamente giustificare e aderire a teorie e pratiche basate sullo SPECISMO.
VEGETARIANESIMO E ANTISPECISMO
Il rapporto tra vegetarianesimo e antispecismo si sviluppa e articola su diversi livelli che cercheremo di prendere sommariamente in esame. Molti e diversi sono i motivi che possono spingere a questa scelta che non sempre si identifica con una precisa coscienza antispecista.
Vedremo come partendo da ragioni semplicemente salutistiche e pratiche si “salga” ad un livello politico, sociale, ambientale, fino a giungere a ragioni di “diritto etico”.
Dalle ragioni pratiche alle ragioni etiche
Molti hanno adottato una dieta vegetariana per ragioni salutistiche poiché nella carne sono presenti additivi, coloranti, conservanti, aromizzanti, estrogeni, cortisone, antibiotici, tranquillanti, antitiroidei, sulfamidici e altre sostante dannose per l’uomo. Inoltre nella carne sono presnti le tossine prodotte dall’animale a causa della sofferenza e della paura provata al momento della morte nel mattatoio.
Ci sono poi altri fattori come il grasso animale, nocivo per l’aumento del tasso di colesterolo.
Inoltre va tenuto presente che, a differenza di quanto comunemente si crede, l’uomo non è né carnivoro né onnivoro. A parte alcune differenze anatomiche ( denti, mandibole, unghie.ecc.) l’intestino umano è lungo 10/12 volte la lunghezza del tronco (nei carnivori solo tre volte) e non è adatto a digerire la carne che staziona a lungo nell’intestino. Infine la placenta, degli uomini è diversa da quella dei carnivori e anche da quella degli onnivori: è più simile a quella dei frugivori. L’ uomo non è neanche simile agli erbivori, non avendo enzimi atti a trasformare in zuccheri semplici la cellulosa delle piante. Quind i p ossiamo concludere che la specie umana si identifica come specie VEGETARIANA anche se per SCELTA CULTURALE, e sottolineo “scelta culturale” può alimentarsi con qualsiasi cibo.
Il vegetariano è meno sottoposto a disturbi cardiocircolatori, all’obesità, ai rischi di trombosi, appendicite, calcoli biliari, enteriti ed enterocoliti, ipertrofia prostatica, ipertensione, rischi di tumore, ecc.
Il sistema vegetariano non è “un sistema mutilato” (cioè ciò che resta, tolta la carne) ma un sistema che perviene a sostituzioni ovunque vi siano stati dei tagli.
Il ragionamento adottato fin qui dimostra che adottare una dieta vegetariana si configura per molti come un’ottima scelta di tipo PRATICO, come mezzo per prevenire danni alla salute fisica.
Ma a queste motivazioni si possono, anzi si devono aggiungere motivazioni etiche.
E’ allora che dalla semplice dieta vegetariana si passa al vegetarianesimo.
L’antispecista adotta un regime alimentare vegetariano, non solo perché è più salutare ma perché è l’espressione di un AVANZATO RAPPORTO ETICO fra gli uomini e fra l’uomo e gli altri animali.
Andiamo ora ad analizzare i tre fondamentali argomenti di tipo etico a favore del vegetarianesimo:
. La difesa dell’uomo;
. La difesa dell’ambiente;
. La difesa degli animali.
La difesa dell’uomo
Vegetarianesimo significa difesa della vita umana perché c’è un legame molto stretto tra consumo di carne e fame nel mondo. Oggi esiste una drammatica scarsità di risorse alimentari.
Si usano le terre per coltivare un’enorme quantità di cereali (molto superiore a quella che potremmo consumare se l’assumessimo sotto forma di cereali o derivati) quindi la destiniamo a cibo per gli animali e infine….ci cibiamo di questi animali.
Alcuni esempi:
1 pollo deve assumere circa 3 Kg di proteine vegetali per “restituirne” 1 kg in carne…
1 suino deve assumere circa 6 Kg di proteine vegetali per “restituirne” 1 kg in carne…
1 bovino deve assumere ben 16Kg di proteine vegetali per “restituirne” 1 kg in carne…
Dobbiamo fornire agli animali UNA MEDIA DI 8 KG di proteine in cereali per ottenerne
1KG IN FORMA DI CARNE……
Lo spreco così prodotto equivale al 90% del fabbisogno mondiale di PROTEINE, il che significa che SE SI MANGIASSERO DIRETTAMENTE I CEREALI IL PROBLEMA DELLA FAME NEL MONDO SAREBBE AUTOMATICAMENTE RISOLTO !!!!!
E allora PERCHE’ CONSUMIAMO LA CARNE?
La carne NON E’ più sostanziosa dei cereali con cui vengono nutriti gli animali che la producono e in più comporta molti più rischi.
Ma allora PERCHE’ CONSUMIAMO LA CARNE?
CONSUMIAMO LA CARNE PER IL SUO SAPORE !
E’ sufficiente a giustificare lo spreco di cibo utile a sfamare popoli affamati?
E inoltre: per quale ragione una, pur umile, vita articolata (nascita, gioventù, , ecc.) deve essere SACRIFICATA A UN PIACERE DELLA DURATA DI UN PASTO?
Essere vegetariani significa anche essere consapevoli che occorre adottare uno stile di vita meno egoistico, maggiormente rispettoso delle giuste esigenze degli altri popoli e del diritto alla vita di tutti.
E’ un’ingiustizia grave che UN QUINTO dell’umanità consumi i QUATTRO QUINTI delle risorse disponibili.
Ecco perché occorre pervenire a una nuova visione dei rapporti politici ed economici, ad una maggior attenzione ai problemi planetari e ad una più matura disponibilità ad attuare le necessarie modifiche nei comportamenti individuali e collettivi.
L’idea e la scelta vegetariana sono una delle risposte più importanti e concrete a questa urgente necessità.
La difesa dell’ambiente
Vegetarianesimo significa anche difesa dell’ambiente naturale.
Si pensi che mille maiali producono 13 tonnellate di urina ogni settimana e che solo in Italia si macellano ogni anna 10 milioni di suini!
Un allevamento di 60 galline produce 82 tonnellate di escrementi ogni settimana e, solo in Italia, si macellano ogni anno 100 milioni di galline!
Gli allevamenti intensivi sono responsabili di gravi forme di inquinamento ambientale producendo milioni di tonnellate di liquami.
Va aggiunto che le deiezioni animali sono sature di elementi chimici dannosi per l’uomo. Tutto questo, aggiunto alla mancanza di adeguati sistemi per lo smaltimento dei liquami, aggrava pericolosamente la contaminazione ambientale. Elementi patogeni vanno così a finire nelle falde acquifere o nei corsi d’acqua aggravando l’eutrofizzazione dei mari.
Non va poi dimenticata la distruzione di grandi foreste per fare spazio, in vaste zone del pianeta, ai pascoli. La coltivazione di meno terre porterebbe, tar l’altro, all’aumento di animali selvaggi con un riconoscimento di aree a loro destinate, mettendo fine all’espropriazione del loro habitat per il nostro rendiconto.
A pensarci è abbastanza incoerente protestare per la deforestazione del’Amazzonia e, contemporaneamente, continuare il consumismo carnivoro:infatti la distruzione delle foreste pluviali dell’America del Sud è servita per la costruzione di enormi allevamenti di bovini, utili soprattutto per le grandi catene delle ristorazioni.
Finora abbiamo ragionato in un’ottica che, comunque continua a richiamarsi a INTERESSI UMANI.
Qualcuno potrebbe obiettare che basterebbe solo ridurre la quantità di carne mangiata o che sarebbe sufficiente, dal punto di vista etico, allevare gli animali senza sottoporli a inutili (?) sofferenze, senza rendersi conto che solo con sistemi di allevamento intensivi e sbrigativi, cioè crudeli, possono essere possibili produzioni tali da rendere la carne una componente usuale della nostra dieta a un prezzo accessibile (lo stesso ragionamento vale per le pellicce e gli altri prodotti di derivazione animale).
MA ANCHE SE TUTTO CIO’, PER ASSURDO, FOSSE POSSIBILE, NON SAREBBE PUR SEMPRE SBAGLIATO MORALMENTE?
La difesa degli animali
La specie umana vive sulla Terra insieme a tante altre specie, animali e vegetali e con esse deve convivere in armonia.
Gli animali sono esseri senzienti, cioè in grado di provare dolore e piacere e hanno degli interessi che devono essere tutelati anche dal punto di vista legislativo-giuridico.
Giustamente gli animali non umani sono stati definiti “gli schiavi del Duemila” , i più indifesi tra gli indifesi, i massacrati senza numero e senza nome, le vittime sconosciute di un’esistenza fatta di sola violenza, spesso segreta e sommessa. SU DI LORO TUTTO E’ PERMESSO. L’uomo si arroga il diritto di sfruttarli in maniera cruenta, di torturarli, di imprigionarli, di farli a pezzi, in nome del divertimento, della moda, del profitto e talvolta per mero sadismo.
L’uomo condivide con gli altri animali molte esperienze fondamentali, che vanno dalla dimensione sociale all’uso di un linguaggio, la tutela della prole, la paura e il dolore, l’eredità culturale, la comunicatività, ecc.
E’ chiaro che l’animale non umano va tutelato comunque, non per il fatto che tanto o poco ci somigli, ma queste somiglianze dovrebbero aiutarci a capire più a fondo il problema.
Tutti gli animali hanno un VALORE FINALE, NON STRUMENTALE.
Occorre l’adozione di un’ETICA BIOCENTRICA ed universale.
E’ chiaro che questa rivoluzione del pensiero comporterà una seria di conseguenze nei comportamenti umani e metterà in discussione molti aspetti e settori di un sistema economico in cui lo sfruttamento cruento di questi esseri è esteso e radicato ovunque.
Ma il cambiamento non porterà necessariamente problemi lavorativi, licenziamenti, ecc. (come alcuni, per difendere i loro profitti, minacciano).
Innanzitutto perché il processo di liberazione animale non potrà che essere graduale, attenuando così le ripercussioni del cambiamento e poi in un sistema così “liberato” ci sarebbe automaticamente una “riconversione” di industrie e un fiorire di attività, professioni e fonti di divertimento alternative.
L’ABOLIZIONE DELLO SCHIAVISMO comportò un grave danno economico per molti mercanti di schiavi, latifondisti, compagnie di navigazione interessate a questo turpe mercato, ecc. ma non per questo si fermò il movimento antischiavista.
IL PROCESSO PER LA CONQUISTA DI DIRITTI E DI GIUSTIZIA NON PUO’ E NON DEVE ESSERE FERMATO DALLA FORTE OPPOSIZIONE DI INTERESSI CONTRARI E INGIUSTI.
Negli allevamenti e nei mattatoi tutto è calcolato per accelerare il tempo,per diminuire gli spazi, per sveltire il lavoro, ridurre i costi e accrescere il guadagno.
In vista di questo obiettivo l’urlo di dolore dell’animale non ha nessuna importanza.
Nelle modalità di allevamento in batteria agli animali è negato il soddisfacimento di bisogni elementari ma essenziali come il movimento, il girarsi su stessi, la stazione totalmente eretta, la possibilità di sdraiarsi o di pulirsi.
Ci sono milioni di vitelli che non hanno mai camminato !
Gli spazi sono oscuri e affollatissimi , il maltrattamento è pianificato e legalizzato.
Il maiale, il bovino, il vitello passano la vita alla corta catena che li lega alla sbarra, costretti al dolore e all’angoscia, all’inerzia, all’ingrassamento forzato, obbligati a riprodursi senza tener conto dei loro ritmi biologici.
Il pollame passa la vita in pochi centimetri quadrati, in gabbie col pavimento a rete, portati all’aggressività dal superaffollamento e, per evitare che si aggrediscano tra loro, si procede al taglio della coda nei suini, delle corna nei bovini, del becco nel pollame (ovviamente….senza anestesia).
I pulcini inutili nel ciclo riproduttivo delle galline ovaiole vengono bruciati o triturati e venduti come concime.
Oche ed anatre vengono ingozzate a forza tramite un imbuto. La pratica è così violenta che l’animale stramazza a terra, determinando aumento di grasso nelle cellule del fegato, deformandolo: così nasce il patè d’oca.
Vengono bolliti vivi esseri di acuta sensibilità come aragoste, gamberi, rane e pesci.
Per avere carne bianca i vitelli vivono sospesi con delle funi nel vuoto e al buio per provocare anemia.
TUTTO QUESTO SUCCEDE AL NOSTRO PRANZO QUANDO E’ ANCORA UN ANIMALE, mentre le pubblicità ci mostrano false immagini di bovini al pascolo in verdi vallate.
Si pratica la castrazione a milioni di cavalli, galletti, maiali, bovini.
Si attua la manipolazione genetica per ottenere animali che producano di più di quello che la loro struttura fisica potrebbe sopportare senza dolore.
Viene attuato il maltrattamento farmaceutico con enormi somministrazioni di farmaci.
La macellazione è preceduta da estenuanti trasporti con sofferenze per sete, caldo, ecc.
L’animale, come l’uomo, va incontro alla morte con un forte senso di angoscia; al mattatoio percepisce la morte degli animali che l’hanno preceduto. Ma, a differenza dell’uomo, non può neanche concepire la morte come liberazione finale di quell’esistenza da incubo a cui l’uomo l’ha costretto.
L’alimentazione carnea nasconde una grande violenza che naturalmente non viene mai mostrata. Se ciò avvenisse certo molte persone smetterebbero di mangiare carne. Ma ciò provocherebbe grandi danni economici al mercato zootecnico e per questo I MATTATOI NON AVRANNO MAI DELLE PARETI DI VETRO, bensì muri e sbarre, in luoghi molto isolati.
La violenza deve rstare segreta. Il consumatore non deve vedere l’agonia e la morte dell’animale, non deve vederne la paura e lo strazio, non deve sentire le sue urla!
NON DEVE E, IN FONDO, NON VUOLE.
CONCLUSIONE
Si è concluso da poco, in modo drammatico, un secolo orrendo che più di ogni altro ha praticato la tortura, il genocidio e ogni altra forma di violenza contro l’uomo.
Non si può restare indifferenti di fronte a tanta sofferenza umana e a tanta ingiustizia.
Ma il secolo appena passato ha anche praticato, più di ogni altro, la violenza contro gli animali non umani nei modi di cui abbiamo parlato ma anche con altre pratiche orrende come le arene, la caccia, le fabbriche di pellicce, i laboratori di vivisezione, ecc. pratiche che sarebbe stato troppo lungo trattare in questa sede, meritando un particolareggiato discorso a parte, ma che non sono certo meno orribili.
C’E’ UN LEGANE TRA QUESTE DUE VIOLENZE.
E’ illusorio poter pensare di eliminare la violenza sull’uomo restando indifferenti a quella sugli animali non umani e senza essere capaci di rinunciare a dei ‘piaceri’ che generano sofferenza ad altri esseri viventi.
E’ sbagliato anche pensare di poter affrontare il problema delle sofferenze degli animali non umani solo ‘dopo’ aver risolto il problema delle umane sofferenze. Oltre che sbagliato è impossibile: perché le due cose sono strettamente collegate.
Bisognerebbe imparare che non basta annunciare e difendere la verità: bisogna soprattutto viverla, traducendo l’etica in una prassi che comporta scelte coerenti di vita.
L’antispecismo è l’espressione dell’ESTENSIONE DELLA SFERA ETICA E DI QUELLA DEI DIRITTI, cogliendo la connessione tra interessi umani e interessi animali.
Per questo l’antispecista non è un sognatore isolato dal mondo e dai suoi drammatici conflitti, ma anzi ne coglie le ragioni più profonde.
Il ruolo dell’uomo nei confronti della natura, degli altri esseri viventi e degli altri uomini non può essere quello di un feroce dominatore o di un violento e devastante predatore.
L’uomo ha invece il dovere di custodire il pianeta nella sua integrità con tutti suoi abitanti umani e non umani.
E’ NOSTRO DOVERE ALLARGARE SEMPRE DI PIU’ L’AMBITO DELLA NOSTRA SFERA MORALE.
Per quanto mi riguarda mi consola il pensiero che quando, spero, un giorno si inorridirà pensando a un tempo in cui gli uomini mangiavano, indossavano, sfruttavano, torturavano altri esseri viventi io non potrò essere annoverato tra di loro…….
[…] CENNI CRITICI PER UN’ ETICA DELLA LIBERAZIONE ANIMALE (pamphlet di Gian Luigi Ago) […]