Si dice, non a torto, che nessuno può più essere lo stesso dopo aver letto “À la recherche du temps perdu” di Proust in modo approfondito, rigoroso, consapevole, avendo ben presente i diversi piani di lettura (romanzesco, di indagine psicologica, estetico, terapeutico e molti altri)
Quest’opera monumentale (sette volumi di circa sei mila pagine fitte fitte) è considerata da molti studiosi non solo la più importante opera letteraria mai scritta ma addirittura il più grande capolavoro dell’ingegno umano.
Ma cosa ha di così particolare questa grande opera? Difficile dirlo in poche righe in quanto la sua complessità e la sua onnicomprensività emerge da diversi aspetti. Qui se ne può dare solo un accenno o qualche dettaglio per indurne alla lettura. Ad esempio quelle incredibili descrizioni in cui supera anche la meticolosità di Flaubert. Ma quella di Proust è una forma di descrizione analitica che va oltre il fatto estetico. Ogni oggetto per lui è un mezzo per rimuovere l’oblio per risvegliare sensazioni, emozioni, per ritrovare appunto il “tempo perduto”. Quando presentò a un editore la prima parte della Recherche gli fu risposto che era improponibile pubblicare un libro dove ci sono una decina di pagine per descrivere come uno si gira nel letto. Eppure lì e in altre descrizioni c’è tutto l’animo umano. Non a caso Freud ha preso molto da Proust e viceversa. E non è un caso che in quest’opera si possa intravedere un’anticipazione delle stesse neuroscienze.
Quando il piccolo Marcel bambino si appresta a inzuppare una madeleine (dolce francese) nel the, quel piccolo gesto dura pagine e pagine e apre a un’analisi interiore di emozioni e sensazioni infinite, quelle che Proust chiama “intermittenze del cuore” (titolo originario dell’opera)
E poi c’è la scrittura stessa, altra grande protagonista. Il romanzo – se così riduttivamente vogliamo chiamarlo- si chiude nel momento in cui lo stesso romanzo cominciava. in un circolo infinito. La fine del romanzo è la scelta di scrivere un romanzo, quello stesso romanzo: la Recherce. La scrittura è una conquista, perché per dirla con Proust “L’unica vita realmente vissuta è la letteratura”
E poi ci sono le tendenze filosofiche del pensiero filosofico europeo che nella Francia dell’ultimo Ottocento avevano trovato in Henry Bergson il loro maggiore rappresentante. Ma oltre che della filosofia spiritualista del suo tempo e di alcuni principi della poetica del decadentismo che da essa discendevano, Proust, nella Recherche, mostra di risentire anche di alcuni aspetti della tradizione classica francese espressi da autori quali Hugo, Saint-Simon, Balzac. Si tratta della tendenza a ricercare con scrupolo e razionalmente le cause degli eventi, “le verità dell’intelligenza”, che unite a quelle “delle sensazioni” dovrebbero costituire, per Proust, il contenuto dell’opera d’arte.
Come ho scritto all’inizio, la Recherce è difficile da spiegare o per lo meno occorrerebbero molti più dei migliaia di libri che ne parlano. Già riuscirlo a leggerlo tutto è un’impresa non da poco, perché è necessario soffermarsi su ogni aggettivo, su ogni sostantivo, mai inappropriati, sempre “definitivi” e questo in un libro in sette volumi richiede tempo e passione. Ma una volta entrati nella scrittura, nell’analisi dell’opera di cui il Tempo è il vero protagonista è difficile uscirne.
Cha altro dire? Non prendo provvigioni per la pubblicità che faccio al libro…. ma vivere senza aver letto quest’opera è sempre vivere, sì, ma se ne potrebbe discutere…..
GIAN LUIGI AGO
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