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Vorrei provocatoriamente, ma sinceramente, lanciarmi in un elogio apologetico del calcio.
Sì, lo so, molti non amano (e qualcuno addirittura snobba) il calcio, eppure io credo che ci sia in questo sport, o meglio nelle emozioni che provoca questo sport, qualcosa di culturalmente positivo.
Sì, lo so: i miliardi, gli interessi, il doping, la violenza ultras, ecc. .
Son sempre stato uno che li ha regolarmente denunciati.
E’ vero, ma in fondo sono ovunque, dalla musica al cinema, al teatro, alla politica, ecc.
Qualcuno non ama le emozioni del calcio spesso (non sempre e non tutti, tengo a precisare) per “snobismo”, per cui giudica questo sport “figlio di un dio moralmente minore”.
Molti affermano: “Io non so niente di calcio e non guardo mai la televisione…”. Intendiamoci: conosco molte persone per cui questa scelta è apprezzabile e conseguenza di un atteggiamento ben definito di approccio alla realtà. Ma sono pochi: la maggioranza “snobba”. E preferisce la Cultura (con la C maiuscola): il calcio,per costoro, è solo per il popolino non acculturato, pecorone e frustrato. Come se non ci fosse spesso frustrazione, ansia di emergere e di “distinguersi” anche nel dedicarsi a cose molto “elevate culturalmente”. Qualcuno poi non ama il calcio perché deriva questo atteggiamento da un vetero malinteso “impegno”.
Il calcio (e ripeto fuori dagli interessi, dai miliardi, ecc.) è invece una delle espressioni più popolari che esistano. La storia delle squadre di calcio dalla fine dell’ottocento ad oggi è uno spaccato di vita popolare che potrebbe dirci molto anche della storia, dell’economia, finanche della psicologia sociale e dell’individuo.
Ma poi, e soprattutto, ci sono le emozioni. Milioni di persone che si identificano e appartengono a qualcosa , non importa se è finto o corrotto, non importa perché tanto è un pretesto. Ma attenzione: non denigriamo quelle gioie, quei dolori: sono vere gioie, sono vere lacrime, che prescindono dal “business”. Chi ama una squadra di calcio ama un’entità astratta spersonalizzata a volte persino dai giocatori, ama un nome, una maglia, un qualcosa che ti fa gioire o soffrire quasi sempre indipendentemente dalla tua volontà.
E a quanti “snobbano” il calcio vorrei ricordare che alcuni dei più grandi filosofi, uomini di cultura, intellettuali, ecc. hanno gioito e pianto per delle partite di calcio. La valenza sociologica e culturale di queste emozioni travalica il fatto che in fondo si tratta di ventidue ragazzotti in mutande (più gli arbitri) che corrono dietro a un pallone e non invece di un monologo shakespeariano. Questo contenuto e quello che sta intorno al calcio diventa minimo e misero (anzi lo è di fatto) rispetto a questo “vivere e sentire” quelle emozioni per un “nome”, per una “maglia”, per una scelta (si può cambiare tutto nella vita: moglie o marito, casa, idee politiche,ecc. Ma quasi mai la squadra del cuore)
E allora io “mi interesso di politica e sociologia per trovare gli strumenti e andare avanti” (per dirla alla Gaber), mi appassiono alla musica, all’arte, alla filosofia, al cinema, alla letteratura. Ma non mi vergogno affatto a dichiarare che raramente provo emozioni così forti, così autentiche, di vera gioia e di vera sofferenza come nel calcio.
Qualcuno ha detto che “il calcio è la metafora della vita”.
Lasciatemi esagerare, io voglio dire di più: “la vita è la metafora del calcio…”
Un caro saluto in “fuorigioco”.
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