La morte non è nel
non poter comunicare
ma nel non poter
più essere compresi
Adulto?
Mai – mai, come l’esistenza che non matura – resta sempre acerba di splendido
giorno in splendido giorno – io non posso che restare
fedele alla stupenda monotonia del mistero.
Ecco perché, nella felicità, non mi sono mai abbandonato – ecco perché nell’ansia delle mie colpe non ho mai provato un rimorso vero. Pari, sempre pari con l’inespresso, all’origine di quello che io sono.
A me
In questo mondo colpevole, che solo compra e disprezza,
il più colpevole son io, inaridito dall’amarezza.
Supplica a mia madre
È difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo.
Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile
Comunicato all’Ansa (Un cane)
Ahi, cane, fermo sul ciglio della via Predestina
che si guarda di qua e di là prima di attraversare la strada.
Non ha nulla da ridire: accetta tutto.
Non ha dignità da difendere, a causa della sua bontà.
Ecco quindi la mia conclusione;
la rassegnazione non ha niente da invidiare all’eroismo.
Bisogna condannare
severamente chi
creda nei buoni sentimenti
e nell’innocenza.
Bisogna condannare
altrettanto severamente chi
ami il sottoproletariato
privo di coscienza di classe.
Bisogna condannare
con la massima severità
chi ascolti in sé e esprima
i sentimenti oscuri e scandalosi.
Queste parole di condanna
hanno cominciato a risuonare
nel cuore degli Anni Cinquanta
e hanno continuato fino a oggi.
Frattanto l’innocenza,
che effettivamente c’era,
ha cominciato a perdersi
in corruzioni, abiure e nevrosi.
Frattanto il sottoproletariato,
che effettivamente esisteva,
ha finito col diventare
una riserva della piccola borghesia.
Frattanto i sentimenti
ch’erano per loro natura oscuri
sono stati investiti
nel rimpianto delle occasioni perdute.
Naturalmente, chi condannava
non si è accorto di tutto ciò:
egli continua a ridere dell’innocenza,
a disinteressarsi del sottoproletariato
e a dichiarare i sentimenti reazionari.
Continua a andare da casa
all’ufficio, dall’ufficio a casa,
oppure a insegnare letteratura:
è felice del progressismo
che gli fa sembrare sacrosanto
il dover insegnare al domestici
l’alfabeto delle scuole borghesi.
È felice del laicismo
per cui è più che naturale
che i poveri abbiano casa
macchina e tutto il resto.
È felice della razionalità
che gli fa praticare un antifascismo
gratificante ed eletto,
e soprattutto molto popolare.
Che tutto questo sia banale
non gli passa neanche per la testa:
infatti, che sia così o che non sia così,
a lui non viene in tasca niente.
Parla, qui, un misero e impotente Socrate
che sa pensare e non filosofare,
il quale ha tuttavia l’orgoglio
non solo d’essere intenditore
(il più esposto e negletto)
dei cambiamenti storici, ma anche
di esserne direttamente
e disperatamente interessato.
“lo non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall’essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io del resto considero degno di ogni più scandalosa ricerca.”
“Forse qualche lettore troverà che dico delle cose banali. Ma chi è
scandalizzato è sempre banale. E io, purtroppo, sono scandalizzato.
Resta da vedere se, come tutti coloro che si scandalizzano (la banalità del loro linguaggio lo dimostra), ho torto, oppure se ci sono delle ragioni speciali che giustificano il mio scandalo.”
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