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«L’inverno non è una attesa delle rondini. / L’inverno è nebbia.» (Roberto Roversi, La partita di calcio, 2). Bisognava, dunque, e bisogna fare luce, spazzare lo spesso velo che copre ogni cosa.
Era forse necessario riprendere in mano la prassi pasoliniana della ricerca sul campo della Storia contemporanea e tornare ad interrogarsi sugli usi e costumi della società e della politica italiane in termini di “antropologia culturale”, e non soltanto di invettiva militante.
L’arco temporale nel quale si va a svolgere questa piccola recherche civile, è il lustro che intercorre tra la primavera del 2001 e l’inverno del 2006. I principali eventi politici che qui si incontrano sono dunque (in ordine): la seconda vittoria elettorale di Silvio Berlusconi (maggio 2001), la repressione militare della manifestazione del Genova Social Forum (luglio 2001), il terribile attentato terroristico contro le Torri gemelle di New York (settembre 2001), la “Guerra infinita” di Bush e Blair in Afghanistan (ottobre 2001) e in Iraq (marzo 2003), le nuove elezioni politiche e infine la vittoria dell’Unione di centrosinistra (aprile 2006). Contemporaneamente si sviluppano e intrecciano le trame ideologiche dello scontro di civiltà e della nuova repressione (cattolica) dei corpi, entrambe fondate sul rifiuto fobico del “diverso” (culturale o sessuale). Sullo sfondo, onnipresente, la crisi identitaria di una sinistra italiana incapace di intercettare e condividere gli umori e le utopie della nuova “base” (il popolo della pace, del volontariato, dell’eresia No-tav, della lotta al precariato e della critica al capitalismo globale; ma anche il popolo della poesia, del dono “inutile” e poco “manageriale” dell’espressione spirituale ed artistica).
Da questo canovaccio shakespeariano di eventi storici (ahimè) condivisi, Gianni D’Elia, con il dono del poeta, e cioè con il talento dell’osservazione sentimentale e partecipata (di Dante e Leopardi, Baudelaire e Pasolini), ci propone, dopo trent’anni di silenzio intellettuale generalizzato, un nuovo assalto «corsaro» contro la scenografia ufficiale della grande Rappresentazione della storia e della politica nazionali. Le armi di questo assalto sono, chiaramente, le sole che possiamo amare, e cioè le armi pacifiche dell’intelletto e della passione umanistica.
Scriveva Pasolini in uno dei suoi celebri Scritti corsari: «Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero».
Nell’arbitrarietà, nella follia e nel mistero della nostra Seconda Repubblica, tra consumismo e disperazione, demenza televisiva e abolizione dei diritti elementari della Costituzione democratica, questi Riscritti corsari di Gianni D’Elia provano a ricostruire la trama invisibile di una “mutazione antropologica” già avvenuta nel cuore dello Stato italiano, e oramai diramatasi dal nucleo del “Nuovo potere” politico ed economico sino alle appendici della nostra vita privata.
Dall’arroganza linguistica delle truppe berlusconiane alla furbizia sbandierata del nuovo modello imprenditoriale (tra evasione fiscale, sfruttamento e collusione mafiosa). Dal razzismo leghista, volgare e maschilista, all’ipocrisia della nuova borghesia italiana, cattolica quanto non cristiana. Dal servilismo estero dei ministri Ruggiero e Fini, alla «colonizzazione» americana «del desiderio» (Debord) e della nostra cultura nazionale, politica e di massa.
Tra Grande Fratello e barbarie bellica, Karaoke e nuovo fascismo, si è compiuta la schiacciante vittoria della logica dell’interesse privato (del particulare) sopra il bene comune di un popolo e del suo patrimonio artistico, ambientale e civile.
Quel che ne risulta, a livello di opera, è un piccolo manuale che potremmo definire, nella sostanza, di “Antropologia culturale dell’Italia berlusconiana”, e pure, nel metodo (coniando una nuova, bella, definizione), di “Antropologia corsara”.
Questa materia, pasoliniana ed ora nostra, era ed è necessaria: vale a dire che ne sentivamo la mancanza.
Parlo da giovane poeta italiano, umiliato (come tantissimi altri giovani poeti) da una Polis che non ci contempla né desidera; ed anche da giovane letterato, costretto (come moltissimi altri neo-laureati in facoltà umanistiche) al mondo del precariato radicale e dello sfacciato sfruttamento del capitalismo post-moderno.
Parlo, anche, da abitante ideale di quel Paese “umile e onesto” di cui ha già scritto il nostro maestro corsaro: la «sinistra culturale» erede di Gramsci, che oggi stenta a riconoscersi in una casa comune.
Ci sono meravigliose eccezioni in cui il nostro sogno ritorna, enorme ed umano come solo i grandi sogni sanno essere: la commovente manifestazione del Firenze Social Forum (9 novembre 2002); l’enorme corteo per la pace a Roma (15 marzo 2003); l’emozionante comizio agli “Stati generali della sinistra” (9 dicembre 2007) di Nichi Vendola, interrotto solamente dagli applausi per l’ingresso in sala del vecchio compagno Pietro Ingrao, apparizione battesimale (proprio come in un poemetto pasoliniano!) di una nuova stagione di lotta, unità e speranza. Oppure, ultimamente (pur dopo la terribile debacle elettorale delle sinistre italiane, premessa ad una atroce stagione di bonapartismo berlusconiano, conservatorismo vaticano, razzismo leghista, distruzione culturale, revisionismo storico, limitazione delle libertà individuali e sindacali): la scintilla, imprevista, dell’Onda studentesca (autunno 2008); o la grande manifestazione dei sindacati scolastici a Roma (30 ottobre 2008). Segni da trattenere, nella lunga invernata.
Arrivo al dunque: questo lavoro editoriale raccoglie tutti gli interventi a firma di Gianni D’Elia (con qualche piccola modifica nei titoli) pubblicati su «L’Unità» dal 2001 al 2006, durante la coraggiosa ed anticonformista direzione di Furio Colombo.
Parlano di pace, di lavoro, di poesia e di speranza; non chiudendo gli occhi sul presente, ma facendo anzi luce sulla guerra, sullo sfruttamento lavorativo, sulla pessima prosa della nostra politica nazionale e sulla crisi storica che ci delude e scoraggia.
Sono anch’essi, questi Riscritti corsari, una stupenda eccezione, dopo i saggi di D’Elia già usciti per Effigie L’eresia di Pasolini (2005) e Il Petrolio delle stragi (2006). Un’eresia d’amore contro l’ennesima mutazione in atto: il tentativo di cancellare per sempre il termine “Sinistra” dal vocabolario della politica italiana.
Questo libro, che vede la luce anche grazie alla collaborazione dell’amico Luigi-Alberto Sanchi, esule culturale al CNR francese e studioso dell’umanesimo europeo, sia dunque la ferma testimonianza di una “resistenza culturale”, da parte della poesia italiana, contro l’omologazione della politica parlamentare.
E siano anche, questi scritti, davvero un invito all’unità, di lotta e di speranze, perché Sinistra torni ad essere, innanzitutto, una Comune sentimentale, e non più soltanto un domicilio tecnocratico.
Solo una nuova stagione di “Antropologia corsara”, e cioè di poesia e di analisi, marxismo eretico e nuovo umanesimo, cristianesimo socialista e passione illuministica per la verità, sarà in grado di risvegliare e rifondare questo nostro utopico Paese.
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Davide Nota
da Gianni D’Elia, Riscritti corsari (Effigie, 2009)
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